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Michele Ruol con "Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” nella Dozzina del Premio Strega 2025
Un evento traumatico, un 'prima' e un 'dopo' che spezzano irrimediabilmente la vita di una famiglia. Al centro del romanzo 'Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia' c'è il dolore di due genitori, 'Padre' e 'Madre', per la perdita dei figli, 'Maggiore' e 'Minore'. Come si sopravvive a un vuoto incolmabile? Michele Ruol esplora questo abisso attraverso un originale inventario di novantanove oggetti quotidiani. Una cornice d'argento, un orologio, un semplice accendino diventano catalizzatori di ricordi, frammenti di una felicità passata che riemergono in un mosaico non lineare. Con uno stile asciutto e per sottrazione, lontano da ogni retorica, l'autore indaga il confine tra caso e destino, componendo un racconto universale sulla memoria e sulla ridefinizione della propria identità dopo un trauma."
Temi chiave
Ruotano attorno all'elaborazione di un trauma che ridefinisce l'esistenza. Al centro della narrazione vi è la perdita dei due figli, indicati come "Maggiore" e "Minore", e il conseguente percorso di dolore sottolinea l'universalità del dramma, rendendolo un'esperienza in cui ogni lettore può, in una certa misura, rispecchiarsi.
Un altro tema fondamentale è quello della memoria e di come questa si aggrappi agli oggetti. Il romanzo è strutturato come un inventario di novantanove oggetti presenti nella casa e nell'automobile di famiglia.
Ognuno di questi oggetti – una cornice d'argento, un orologio, un accendino – diventa un catalizzatore di ricordi, frammenti di una vita passata che riaffiorano in modo non lineare.
Si esplora così il confine labile tra caso e destino, e come eventi apparentemente marginali possano deviare il corso di un'intera esistenza.
Stile narrativo
La narrazione è permeata da un senso di "prima" e "dopo" l'incidente che ha spezzato la famiglia. Questo evento traumatico diventa il punto di non ritorno, costringendo i protagonisti a confrontarsi con un vuoto incolmabile e a ridefinire il proprio ruolo di genitori e la propria identità.
Lo stile narrativo è caratterizzato da una scrittura asciutta, precisa e per sottrazione I periodi sono brevi e concisi, privi di retorica, lasciando spazio ai silenzi e ai non detti. Questa scelta stilistica, lungi dal raffreddare l'emozione, la rende ancora più intensa e incisiva, evitando di cadere nella "pornografia del dolore".
La struttura del romanzo è frammentata e non lineare. I capitoli, brevi e intitolati con il nome di un oggetto, si susseguono alternando passato e presente, componendo un mosaico emotivo che riflette il disordine della memoria nel processo del lutto. Questa narrazione per "lampi" e frammenti restituisce al lettore il senso di disorientamento vissuto dai protagonisti.
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La Proposta di Walter Veltroni per il Premio Strega 2025
Estratto dalla Motivazione
«Per la prima volta segnalo un romanzo ai giurati del Premio Strega. Lo faccio, in primo luogo, per condividere con loro l’emozione che ho provato nel leggere le pagine di Michele Ruol. Il romanzo è il racconto del vuoto lasciato nella vita di due genitori, Padre e Madre, dalla morte improvvisa dei loro due figli, Maggiore e Minore.
Tutto, in un istante, cambia senso e direzione, perde peso, si fa vuoto, puro vuoto. Ruol racconta questa deflagrazione attraverso le cose, gli spazi, gli oggetti, i momenti, i movimenti.
Una scrittura asciutta rende ancora più intensa l‘emozione che si prova nel leggere le pagine di questo inventario di una vita, dopo il più devastante degli incendi.»
Nella storia di Madre e di Padre ci sono degli avvenimenti che determinano un prima e un dopo. La nascita di Maggiore e poi quella di Minore, ad esempio, o l’incidente che li coinvolge, ma anche episodi apparentemente marginali dirottano le loro esistenze, come le nostre: delle mani che si sfiorano per caso e poi si trattengono appena più del dovuto, o l’apertura casuale di una chat altrui. In questo esordio luminoso e contundente, Michele Ruol ci conduce nell’intimità dei suoi personaggi attraverso le impronte lasciate sugli oggetti della casa in cui abitavano, riuscendo a farci continuamente ricredere sull’idea che ci siamo fatti su ciascuno di loro – e forse anche su quella che abbiamo di noi stessi.
